29 giugno 2006

Trucchi

Con Mauro i primi tre anni erano filati via leggeri e veloci come quando si aspettano dal tempo solo altre cose belle. Quando lui era tornato da tre mesi di trasferta in Brasile con un’altra moglie e una richiesta di separazione, Lucia era rimasta come un sasso ad inghiottire le lacrime senza capire veramente. Finché, dopo i litigi, i piatti rotti, la giudiziale e le valige alla porta, la casa era rimasta vuota. Come in una spirale sempre più stretta.

La sopportazione e il disprezzo erano arrivati dopo, ma dentro il cuore non s’era mai abituata all’idea di essere sola di nuovo, una divorziata. Le amiche vecchie e nuove, tutte divorziate anche loro, avevano fatto a gara per coprirla di attenzioni (non scopri quante persone stanno come te finché non ti ci trovi dentro): affetto e consigli pratici, per sopravvivere. Insomma quei gioielli di buonsenso che solo un’amica ti può regalare senza essere banale. “Prendi il lenzuolo” le aveva detto un giorno una di loro “e vedi quant’è comodo stare da sole nel letto matrimoniale. Invece di cambiarlo subito, io che dormo da un lato solo, lo giro al contrario e, via, ecco il lenzuolo pulito come appena lavato!”

Strano come ti dimentichi le cose e poi, quando meno te l’aspetti, quelle saltano fuori. Mesi dopo, una mattina, stava cambiando le lenzuola come sempre, precisa e svelta, senza pensare. Poi, come in un lampo di nostalgia, la mano che si ferma e accarezza il lato che era di lui lo trova ancora fresco e stirato. Il naso che si abbassa ad annusare: come appena uscito dalla lavatrice. Mentre rifaceva il letto con le stesse lenzuola rivoltate, guardò bene ora il suo di lato. Perfetto. E quella le sembrò veramente una gran bella trovata.

(rev. 29/06/06)

23 giugno 2006

Lack of Moral Fibre [2]

(riscrittura, 22/06/06 - revisione, 24/06/06)

Doveva essere così. Per troppo tempo io e te avevamo brindato e festeggiato all'ultima missione. Questa sì è la più difficile! Non torneremo da questa! Per scaramanzia, contro la sfortuna. E invece, da questa base, nove assurde missioni notturne.
Quella notte il fuoco della contraerea era fitto, sì, i crucchi ci stavano aspettando! La notte era troppo limpida, rotta solo dalle nuvole di fumo della contraerea.
Ad un tratto le esplosioni s’erano fatte incredilmente fitte e, quando il finestrino è andato in pezzi per una troppo vicina, ho sentito a pelle che qualcosa non andava. M’ero girato di scatto per vedere come stavi; c'era un rivolo di sangue che ti scendeva da sotto la cuffia sulla tempia, ma t’eri girato anche tu sorridendo e m'avevi fatto segno che andava tutto bene, come sempre. Col pollice alzato. Poi uno dei motori che perdeva pressione dell’olio (il colpo era stato veramente vicino) e tu sempre più pallido che ti abbandonavi sulla console. Non so, ne avevo viste già di scene come quella, di carlinghe strappate dai proiettili e di corpi sanguinanti a volte irriconoscibili dei commilitoni. Fosse stato un altro non mi sarei stupito, il sangue e la sofferenza erano cose di tutti i giorni. Ma tu no, io ti conoscevo bene. Dalla scuola di volo e poi sui Lancaster, sempre insieme nella stessa squadriglia e nello stesso aereo. Inseparabili. Non avrei mai dato l’ordine di cambiare rotta e rientrare. L'aereo poteva volare. Avrei continuato, avrei finito la missione e poi, con calma, sarei tornato alla base. Gli ordini erano quelli. Con i flak che ci esplodevano a pochi metri dal muso e illuminavano la scena ho avuto paura, lo confesso. T’ho visto così, svenuto sul sedile con quella smorfia del labbro un po' piegato sempre a sminuire le cose e il navigatore che provava a tamponare la ferita. Una stretta alla bocca dello stomaco. E non c’ho pensato più di tanto; quattro parole ringhiate nell’interfono e il bestione che lentamente s’inclinava alla virata.Gli altri dell’equipaggio non fiatavano. Sentivo il loro sguardo su di te. E su di me.
Così abortimmo la missione. Così non sganciammo le bombe. Nessun’altro morì quella notte. I motori a manetta, per recuperare minuti preziosi. Arrivare in tempo. Ce la potevamo fare. Tu eri forte. Non t’avrei fatto morire come un cane in quella scatola di latta.

S'era fatto giorno ormai e la pista si vedeva lontana sotto la nebbia che si stava alzando. Ora che il rombo dei motori era più cupo ho sentito che tossivi. Con la coda dell'occhio ti vedevo bene ora, il volto bianco come la cera. Il carrello tocca terra, gli ultimi controlli. Siamo a casa! Ce la facciamo! Ad occhi chiusi e il sangue che bagnava nero il colletto di pelliccia, t’ho preso in braccio. Urlavo agli altri d’aiutarmi. Mani e braccia che ti portavano giù per il portello, fin sulla pista. Io che gridavo e t'abbracciavo. Urlavo e ti scuotevo per il giubbotto. Urlavo e ti picchiavo. Il volto. Il petto. Le mie mani sporche di sangue. Non poteva essere. Non potevi andartene. Non tu. Non ora. Non l'ultima missione. Che avrei fatto io senza di te? No. No.
Come in un sogno, sapevo che tutti ci guardavano. Anche il comandante della base, m'hanno poi detto. Ci hanno separato a forza. M'hanno portato via che urlavo ancora, sì, non so in quanti mi tenevano, mentre tu, steso sulla pista con gli occhi chiusi e la testa piegata non ti muovevi più.

Tra poco andrò via da qui. Lascio questi muri bianchi immacolati. La sacca è già pronta. L'uniforme stirata con tutte le mostrine è qui sul letto e la camicia manda un buon odore di pulito. La commissione m'ha visitato. Mi dicono non ci sarà corte marziale in considerazione dello stato di servizio esemplare, ma un comandate di squadriglia della RAF, la migliore aviazione del mondo, non abbandona una missione, se non per codardia.
Sarò trasferito, questo è ovvio. Per me ora un posto vale l'altro. Quella era l’ultima missione. So già cosa scriveranno sulla scheda. So già cosa sono per tutti. Ed è così che mi sento anch'io. Tu non ci sei più, amico mio, e io sono un LMF.

----------------------------
N.d.A. (vedi commenti)

12 giugno 2006

Libero Arbitrio

Per un attimo si sentì immobile in quel gesto innaturale. Nessuno fiatava più dagli spalti. Tutto era sospeso tra la furia sfinita dei pases e l'ultima stoccata.
L'enorme massa nera sanguinante gli stava a pochi passi con la testa abbassata leggermente, le zampe divaricate e il vapore che usciva dalle froge rese ancora più enormi dallo sforzo. Una posizione perfetta: il collo, la spada un tutt'uno col braccio destro teso, la muleta ben aperta col sinistro davanti alle gambe.
In quell'attimo, in quel pomeriggio incredibilmente freddo di Maggio, s'insinuò nella sua mente un pensiero. Dopo decine e decine di morti, tanto liturgiche da diventare meccaniche, gli parve chiaro che quella bestia ferma davanti a lui ormai battuta non voleva morire e lui non voleva ucciderla. Poteva fermarsi qui, non ce n'era bisogno. Figlio di toreri figli di toreri a memoria d'uomo, non s'era mai chiesto il perché di quel gioco sottilmente crudele dove il toro coraggioso e ingenuo, carica e carica, seguendo le tre fasi del rito inconsapevolmente, sospinto alla morte da un'energia che è puro amore per la vita. Tutto un inganno. Sporco.
Rimase così per un instante. Guardò più oltre, gli occhi stretti nella mira, il pubblico in attesa. Guardò se stesso.
Con un movimento preciso infilò la spada nel collo della bestia.
Mentre l'arena si animava di nuovo di voci e di inservienti, gli occhi velati del toro perdevano la luce e l'ultimo fiotto di sangue gorgogliava dalla bocca sulla sabbia. Suo padre era morto così, su un tavolaccio di legno pochi metri più in là.

06 giugno 2006

A Sort of Homecoming (A Perfect Day)

La campagna immensa di granturco ancora verde e basso ha lasciato il passo alla periferia ordinata dei suburb. Tu guidi veloce e io guardo tutto come se stessi fotografando, avidamente.
"Look at the clouds," ti dico, rompendo il silenzio, "they're perfect!" Sembrano disegnate. Dalla mano di un bambino, piccole, bianche e regolari su un azzurro d'acquarello. "Yes. It's a perfect day" mi rispondi.
Ci giriamo appena e ci guardiamo d'intesa con la coda dell'occhio. Attraverso le lenti nere non li vedo, ma so i tuoi occhi. E tu sai i miei.
Abbandono la testa sul sedile, la strada scivola via nell'aria frizzante. Ho ancora un po' di terra sui polpostrelli. Ho valigie da preparare e altre giornate perfette che mi aspettano.