I Tre Re Magi
“Porca miseria, marescià!”. A denti stretti, acquattati sopra l’erba umida di pioggia e di nevischio, Colaianni mi guarda con aria implorante, facendo nuvolette col respiro.
Da più di un’ora ci stiamo avvicinando al casolare, strisciando, lentamente, per dare tempo ai nostri di arrivare. Ma con questo tempo da lupi e questo buio ci vorrà parecchio ai baschi rossi per trovarci e avvicinarsi con gli elicotteri senza fare troppo chiasso. L’ultimo contatto dieci minuti fa con tempo stimato d’arrivo di altri venti. Tengo la radio al minimo per non fare rumore adesso che siamo vicini e possiamo già vedere la luce dietro i vetri, trema, saranno candele, visto che qui la corrente non ci arriva di sicuro. Solo rocce e vento da queste parti. E pecore.
Infatti sarà per questo che il brigadiere impreca. Precisino com’è, me lo immagino con il giaccone impastato di fango e cacca ovina e mi viene un po’ da ridere. Mi passa subito: la luce si sta spostando da una finestra all’altra e si sente un rumore di sedie strascinate. “Che cavolo vanno facendo?” sento sibilare da dietro. Faccio con la mano segno di stare quieti; intravedo in un poco di chiarore le loro facce tese dal freddo e dalla paura. Da dentro altro rumore come di zuffa, voci alterate e confuse, qualcosa di vetro si rompe.
Scatto in ginocchio, “andiamo dentro” dico e tiro fuori la pistola. Mi giro ancora, solo per scrupolo, ma sono in ginocchio anche loro, le mitragliette strette fra le mani, senza fiatare.
Dentro è sempre più concitato e non ci sentono proprio arrivare. Butto un’occhiata alla finestra, sono in tre anche loro, stivaloni di gomma e giacconi militari che sembrano proprio dei pastori. Su un tavolaccio un seggiolino da neonati.
Solo un ultimo respiro e spalanco la porta; “belle facce da imbecilli, stanno pure litigando fra loro!” penso, mentre punto l’arma sul più grosso che è il più vicino al tavolo. Come diceva Sun Tzu? Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un agnello? O era un coniglio? Beh, ce ne vuole però di pelo sullo stomaco, anche solo per pensare di puntare una pistola su una creaturina indifesa.
Zambon, un omone anche lui, si getta con un’agilità che non gli conoscevo fra la pistola e il bambino, proprio mentre il pazzo preme il grilletto.
Le espressioni sospese di tutti e in una frazione di secondo io, Colaianni e gli altri due che spariamo.
Mi ritrovo a terra e due ombre blu mi aiutano a mettermi seduto. “Tutto bene, marescià?” mi chiede Colaianni con la voce stridula e l’accento più marcato. È come se mi fosse passato sul petto un trattore e sento adesso un dolore lancinante al braccio destro. “Tutto bene?”
Tutto bene, mi sento bagnato di sangue ma tutto bene: il giubbotto antiproiettile ha funzionato a dovere e al braccio è solo un graffio, credo. I tre delinquenti sono seduti a terra contro il muro, tutti ammanettati. Uno sanguina da una gamba, il più grosso ha la faccia pesta; Zambon ha le mani dure, da contadino.
“Cilecca, maresciallo, ha fatto cilecca!” Zambon mi mostra con gli occhi lucidi una pistola nera, di fabbricazione sovietica.
“Guardi, marescià, è una bambina!” È il Colaianni con quell’esserino in braccio che gli sorride come se niente fosse successo. È bionda, paffutina e rosea, tutta ammantata dal suo giaccone blu pare una principessa coi gradi argentati delle spalline.
“Volea sparar a la picinina, il bastardo. E’ un miracolo!” Zambon si rivolge al collega e gli mostra il crocefisso, tirato fuori dal colletto del maglione. È strano vedere quell’uomo così rude che con una mano carezza la piccoletta e con l’altra bacia il suo crocefisso.
Fuori si sente ora il rumore degli elicotteri che stanno arrivando e mi faccio più vicino anch’io. Alla luce incerta del fuoco nel camino, non posso fare a meno di pensare che oggi è l’Epifania, mentre sfioro con la mano sporca di fango e sangue la manina di quella principessa sconosciuta.