30 settembre 2006

Bugiardini

bastone di AsclepioLa scorsa settimana sono stato malato. Il mio dottore mi ha dato un antibiotico e io ho cercato di capire, curioso che sono, quando e quanto ne dovevo prendere. Ho aperto il foglio illustrativo ripiegato sei sette volte su se stesso e poi in due pagine a formare un piccolo lenzuolo di una cinquantina di centimetri di lunghezza per una quindicina d'altezza. Come le schede elettorali che tutti hanno criticato, ma scritto fitto fitto, davanti e dietro. Io, sarà stato per la febbre o perché non sono molto sveglio, ci ho messo cinque minuti prima di capire dove c'era scritto quello che mi serviva, passando per due tabelle parametrizzate sulla clearance della creatinina e la gravità dell'infezione. Volevo scriverci un post, poi ho pensato che sto diventando un borbottone e non c'è proprio bisogno di un altro che borbotta sul blog.

Poi sono ritornato dal dottore e mi ha prescritto altre medicine. Sono andato dal farmacista e c'era una signorina tutta piccolina e bellina con il distintivo dell'ordine sul bavero del camice. Ha cominciato a lamentarsi che il mio medico scrive da cani e ha tirato fuori un farmaco che non era proprio quello che c'era scritto sulla ricetta. Me ne sono accorto perché sapevo già il nome del farmaco giusto e gliel'ho detto. E lei insisteva: "guardi che avrebbe potuto essere anche l'altro, ma se lei preferisce questo..." Non ho risposto anche se si leggeva bene che c'erano un paio di sillabe in più sulla ricetta. Vabbè. Mi ha dato anche un'altra scatoletta che non conoscevo e me ne sono andato a casa.
Sempre per la stessa curiosità, mi sono andato a leggere il bugiardino anche stavolta e sono rimasto un po' perplesso quando ho capito che era un ansiolitico. Io ne avrei certamente bisogno, ma l'Anna aveva parlato di un integratore a base di erbe e non mi direbbe una bugia. No, decisamente era un errore. Sulla ricetta infatti c'era proprio scritta un'altra cosa e lo leggevo bene anch'io, checché ne dicesse la signorina.
Sono tornato in farmacia, ma era Sabato pomeriggio e il fine settimana le farmacie sono chiuse. Più un altro giorno di riposo settimanale. Però fanno orario continuato, certo. Poverini.
Sono tornato lunedì mattina e gentilmente ho presentato il mio problema. Si sono tenuti lo psicofarmaco e io ho chiesto i soldi indietro, chiaramente. Il collega della signorina con un bel faccione paffuto dopo aver guardato sul computer, non ha perso l'occasione per commentare con tono sufficiente: "però anche il suo medico si è sbagliato, vede? Qui ha scritto 'gocce' e questo prodotto esiste solo in compresse..." Io ho resistito alla tentazione di prenderlo per il bavero, distintivo o no. Sono stato bravo. Ho risposto: "sì, va bene, avete sbagliato tutti e due" e me ne sono andato.

20 settembre 2006

Ragioni Etiliche 5

Stamattina c’è il polacco biondo al semaforo di Villa Carpegna. Lo incontro ogni tanto quando passo da qui. C’è una macchinona davanti a me e lui si piega a pulire i fari. È la sua specialità pulire i fari con uno straccio sporco in una mano e la sigaretta nell’altra. Oggi niente sigaretta, ché ha una mano col gesso. Anche quello sporco come lo straccio. Il tizio dentro la macchina si agita, suona, si sente anche da fuori che strilla incazzato, da dietro i finestrini chiusi però. Mi fa ridere: si muove tutto, sembra un pupazzetto. Magari, con una macchinona così, bella lucida, mi incazzerei anch’io se un polacco ubriaco coi baffi mi venisse a sporcare i fari col suo straccio.
Gli dico: “vieni qui. Pulisci!” Lui guarda il motorino e poi mi guarda strano. Gli dico ancora: “Pulisci!” Così viene e mi strofina un po’ il fanale. Tanto la lampadina è fulminata da non so quando e comunque pioverà tra poco. Volevo guardarlo bene e dargli qualche cosa.
Quando m’hanno portato al pronto soccorso qualche mese fa che era mattina presto l’ho visto là. Dorme nella sala d’aspetto poi alle otto, quando arrivano i dottori se ne va con una specie di carrellino dove ha legato una valigia, una scatolaccia di cartone e altri stracci.
Lo guardo da vicino: m’assomiglia. Sembrava più vecchio da lontano, ma avrà più o meno l’età mia. Biondo, però, coi baffi e una collana con una foglia di pietra verde. Mi frugo nella tasca della giacca, lo so che ho qualche spiccio finito dentro il buco della fodera. Ci metto un po’, ma lui aspetta. Riesco a tirare fuori due monete da venti e una da cinque. Dovrebbero bastare per una bottiglia di birra al discount.


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Capitoli precedenti: 4, 3, 2, 1

19 settembre 2006

Stream of Consciousness #6

Che è?

E' successo e aveva un senso
Me lo ricordo, l'ho sentito
Ora il tempo ha accumulato
tutti i dubbi che mancavano

***

Ultimo


Lo giro fra le dita
lo passo sotto il naso
è il tesoro più prezioso
stanotte: è l'ultimo
Aspetto ancora un po'
Gocce d'ambra cadute sul tavolo
sono meno rare
Fatico a trattenermi
l'accenderò
poi avrò soltanto fumo
e cenere

***
Debito d'aria

Inspiro; espiro.
Resto immobile.
Mi accorgo dal silenzio
e dal vuoto del corpo,
dovrei respirare ancora.

***
Oddity

Neither six
nor eight
seven
that is normality

13 settembre 2006

Ragioni Etiliche 4

La madre di Lisa non poteva proprio sopportarmi. Mi ricordo come fosse oggi il primo giorno che mi ha portato a casa dai suoi. È strano, se ci penso, che mi ricordo proprio di lei, tra tutte le cose che dovrei ricordare. Il padre, il notaio, per esempio, non lo ricordo più. Non mi ricordo come era fatto. Quel giorno stava al tavolo con la testa abbassata sul piatto e non parlava. Lisa invece parlava con tutti e rideva. Si girava a guardarmi ogni tanto e poi continuava a parlare. I suoi capelli neri, lunghi e lisci si muovevano come le onde. Sua madre mi squadrava con quella faccia da cagnaccio, non mi toglieva gli occhi di dosso. Sarà stato perché quel giorno avevo una cicatrice ancora fresca sull’occhio ed ero divorziato. O perché allora avevo la barba da due anni di imbarco e dimostravo più degli anni che avevo, troppi di più di Lisa comunque. Nemmeno i fiori erano serviti a niente. Nemmeno una camicia stirata e la cravatta. E nemmeno i cioccolatini, che continuavo a portare ogni volta che mi trovavo in città fra un servizio e l’altro.
Lisa lo sapeva e se ne fregava. Scuoteva la testa e diceva che non era importante. Così diceva e continuava sorridermi, a prendermi in giro, a dirmi che ero un animale e la mamma aveva ragione.
Quando decidemmo di andare a vivere insieme fu la rivoluzione a casa sua. Perfino il padre si mise a strillare. Lisa che guardava lui e guardava lei, i capelli che le andavano di qua e di là. Io stavo fermo come un sedano e guardavo Lisa dritta in piedi con quelle braccia sottili, i pugni stretti e quella faccia ostinata che sapeva fare.
Ci trasferimmo in quell’appartamentino dietro la Sapienza che non c’era spazio neanche per respirare. Lei studiava tutto il pomeriggio e io fumavo e guardavo la televisione.
Sono stato bene con lei per quanto è durato. Anche se a ripensarci venticinque anni dopo la madre aveva ragione. Non eravamo accoppiati bene per niente. A lei non piaceva venire in birreria con me e con i miei amici e non le piaceva sentire i discorsi da ubriachi sulle navi e sui viaggi e su tutte le cose che interessavano a me. Lei si voleva laureare presto e io non capivo un’acca dei suoi libri e non mi piacevano i suoi amici studenti coi capelli lunghi e le facce da cantanti rock che frequentava. E a lei non piacevano i miei, perché avevano la divisa e puzzavano di fumo e di birra. Io ci sarei stato seriamente con lei per –magari- ricominciare da capo, ma non poteva funzionare.
Fui rimbarcato a Febbraio e tornai tre mesi dopo che lei già s’era sistemata bene le cose con uno degli assistenti lì dell’università. Tornai a casa e non feci in tempo a buttare il sacco sul letto che già l’avevo capito da come mi guardava. Giusto il tempo di pranzare insieme l’ultima volta con quelle schifezze vegetariane di miglio e altre porcherie che le piaceva preparare e se n’era andata. Mi sono trattenuto e sì che mi veniva di prenderla a sberle. Per tutte le cazzate che m’aveva detto; perché a nessuno piace essere un cornuto. Le avrei fatto male e poi mi sarei pentito. Mi sono pentito comunque perché alla fine è toccato a me pagare l’affitto e scolarmi da solo tutte le bottiglie in casa per cercare di capire.


Capitoli precedenti: 3, 2, 1
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Suggestioni anche da "Giugno '73" (da ascoltare) e "La Moglie del Leprotto" (da farsi raccontare)



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09 settembre 2006

The Merchant



Selling out memories like never before
Come on, you folks! Who offers more?
My soul on display just waits for a bid
Oh, bring it home and take off the lid!

07 settembre 2006

Tango

Il mio palmo e la tua schiena nuda
I nostri ventri si sfiorano
Respiro nel profumo dei capelli
Ti prendo e ti lascio. Sento tutto di te


[Idea di tango per GotanBlog]

06 settembre 2006

Ragioni Etiliche - 3

Sono inciampato. E che non può capitare a chiunque? Lungo a pelle d’orso davanti al divano e cascando ho dato una capocciata tremenda sul tavolino. Sì, un male boia. Sarò rimasto almeno un quarto d’ora a pancia all’aria che non riuscivo nemmeno a capire dov’ero e che cazzo era successo.
Alla fine sono riuscito a mettermi in ginocchio con la testa che mi batteva come una campana e strisciare in qualche modo fino al bagno. Perdevo sangue come un maiale sgozzato da un taglio grosso così sopra l’occhio destro. Come quella volta che a Taranto, in una delle viuzze vicino all’Arsenale, s’era fatto a bottigliate coi teppisti.
Ho fatto appena in tempo ad abbracciare la tazza del cesso e mi sono vomitato pure l’anima. Una sbronza memorabile, ti giuro! Me la tenevo stretta come un’amante. Ah! Mi sono liberato e poi mi sono sdraiato sul pavimento con un asciugamano bagnato in fronte. Fino alla mattina dopo quando la signora che mi fa le pulizie ogni tanto mi ha recuperato e, in qualche modo, m’ha rimesso a letto.
Adesso che mi guardo allo specchio mentre mi faccio la barba mi viene in mente quel pittore irlandese come-si-chiama -una volta ci ho visto una mostra- quello che dipinge tutte le facce storte e gli occhi pisti. Proprio come me adesso e mi viene da ridere.

04 settembre 2006

Impronte

Ci siamo guardati a lungo senza parlare, né io né te avevamo il coraggio di dirlo finalmente. Ci siamo abbracciati in un abbraccio che non voleva finire e un bacio che raccoglieva le memorie di tutto il tempo assieme.
Sono stato io a staccarmi. Come sempre. Ti sei aggiustata i capelli corti, una passata delle dita fra quel ciuffo biondo ribelle. Mi hai sistemato il bavero del cappotto e la cravatta, come sempre.
Le nostre auto parcheggiate fianco a fianco. Un'ultima occhiata e lo sbattere delle portiere.
Sei tornata indietro, mentre ancora cercavo di infilare le chiavi nel cruscotto. Hai poggiato le mani sul finestrino (e sai quanto lo odio). Hai lasciato un bacio sul vetro immacolato. Un fiore rosso.
Sei volata via. Prima che avessi tempo di fiatare.
Oggi è brutto fuori. Sto prendendo un altro caffè prima d'uscire, guardando alla finestra. Oggi pioverà e laverà via le ultime tracce di rossetto. L'unica cosa che ancora ho di te.