06 gennaio 2008

I Tre Re Magi

“Porca miseria, marescià!”. A denti stretti, acquattati sopra l’erba umida di pioggia e di nevischio, Colaianni mi guarda con aria implorante, facendo nuvolette col respiro.
Da più di un’ora ci stiamo avvicinando al casolare, strisciando, lentamente, per dare tempo ai nostri di arrivare. Ma con questo tempo da lupi e questo buio ci vorrà parecchio ai baschi rossi per trovarci e avvicinarsi con gli elicotteri senza fare troppo chiasso. L’ultimo contatto dieci minuti fa con tempo stimato d’arrivo di altri venti. Tengo la radio al minimo per non fare rumore adesso che siamo vicini e possiamo già vedere la luce dietro i vetri, trema, saranno candele, visto che qui la corrente non ci arriva di sicuro. Solo rocce e vento da queste parti. E pecore.
Infatti sarà per questo che il brigadiere impreca. Precisino com’è, me lo immagino con il giaccone impastato di fango e cacca ovina e mi viene un po’ da ridere. Mi passa subito: la luce si sta spostando da una finestra all’altra e si sente un rumore di sedie strascinate. “Che cavolo vanno facendo?” sento sibilare da dietro. Faccio con la mano segno di stare quieti; intravedo in un poco di chiarore le loro facce tese dal freddo e dalla paura. Da dentro altro rumore come di zuffa, voci alterate e confuse, qualcosa di vetro si rompe.
Scatto in ginocchio, “andiamo dentro” dico e tiro fuori la pistola. Mi giro ancora, solo per scrupolo, ma sono in ginocchio anche loro, le mitragliette strette fra le mani, senza fiatare.
Dentro è sempre più concitato e non ci sentono proprio arrivare. Butto un’occhiata alla finestra, sono in tre anche loro, stivaloni di gomma e giacconi militari che sembrano proprio dei pastori. Su un tavolaccio un seggiolino da neonati.
Solo un ultimo respiro e spalanco la porta; “belle facce da imbecilli, stanno pure litigando fra loro!” penso, mentre punto l’arma sul più grosso che è il più vicino al tavolo. Come diceva Sun Tzu? Il leone usa tutta la sua forza anche per uccidere un agnello? O era un coniglio? Beh, ce ne vuole però di pelo sullo stomaco, anche solo per pensare di puntare una pistola su una creaturina indifesa.
Zambon, un omone anche lui, si getta con un’agilità che non gli conoscevo fra la pistola e il bambino, proprio mentre il pazzo preme il grilletto.
Le espressioni sospese di tutti e in una frazione di secondo io, Colaianni e gli altri due che spariamo.

Mi ritrovo a terra e due ombre blu mi aiutano a mettermi seduto. “Tutto bene, marescià?” mi chiede Colaianni con la voce stridula e l’accento più marcato. È come se mi fosse passato sul petto un trattore e sento adesso un dolore lancinante al braccio destro. “Tutto bene?”
Tutto bene, mi sento bagnato di sangue ma tutto bene: il giubbotto antiproiettile ha funzionato a dovere e al braccio è solo un graffio, credo. I tre delinquenti sono seduti a terra contro il muro, tutti ammanettati. Uno sanguina da una gamba, il più grosso ha la faccia pesta; Zambon ha le mani dure, da contadino.
“Cilecca, maresciallo, ha fatto cilecca!” Zambon mi mostra con gli occhi lucidi una pistola nera, di fabbricazione sovietica.
“Guardi, marescià, è una bambina!” È il Colaianni con quell’esserino in braccio che gli sorride come se niente fosse successo. È bionda, paffutina e rosea, tutta ammantata dal suo giaccone blu pare una principessa coi gradi argentati delle spalline.
“Volea sparar a la picinina, il bastardo. E’ un miracolo!” Zambon si rivolge al collega e gli mostra il crocefisso, tirato fuori dal colletto del maglione. È strano vedere quell’uomo così rude che con una mano carezza la piccoletta e con l’altra bacia il suo crocefisso.
Fuori si sente ora il rumore degli elicotteri che stanno arrivando e mi faccio più vicino anch’io. Alla luce incerta del fuoco nel camino, non posso fare a meno di pensare che oggi è l’Epifania, mentre sfioro con la mano sporca di fango e sangue la manina di quella principessa sconosciuta.

22 settembre 2007

fuor di metafora

Ho conosciuto uno senza dita. Ha teso la mano per presentarsi e mentre gliela stringevo me ne sono accorto. Mi ha raccontato poi che lavora la ceramica.

19 agosto 2007

alla ricerca di un possibile epilogo: ragioni etiliche reloaded

Io questa serie qui di raccontini avrei voluto chiuderla da tempo. Poi l'altra sera m'è capitato di comprare del vino e mi sono accorto solo a casa quando l'ho aperto che aveva il tappo a vite. Avevo la gola troppo secca e troppo voglia di un goccio per fare tanto il sofista. Certo, ho pensato, che se vai a comprare il vino al supermercato il rischio c'è! C'era un tempo che avevo l'enoteca preferita e quando ero a casa in franchigia, mi capitava di passare pomeriggi interi a discutere col signor Umberto di quella o quell'altra cantina, di questo o quell'altro vino. Bere tanto, ma con criterio, questo mi sono sempre detto. Poi i soldi non durano in eterno e anche la pigrizia gioca la sua parte. Comprare le cose al supermercato è più facile. Mi concendo sempre il bicchiere da degustazione giusto, perché ci si può sbronzare con classe, ma per quella bottiglia là ho rispolverato dalla dispensa un bicchiere di vetro infrangibile, di quelli bassi e tozzi da osteria. Tutto contento mi sono messo a gustare il mio vino col tappo a vite, così, notando fra l'altro sull'etichetta che nella zona di produzione è stata scoperta una discarica di rifiuti tossici.
Dev'essere stato quello (o i solfiti) perché non mi capita mai che una sola bottiglia mi mandi al tappeto. Anzi al divano, perché ho riaperto gli occhi che stavo stravaccato a faccia in giù col sole che già filtrava dalla tapparella. Avete mai visto quando la luce entra di traverso nella stanza buia e sembra che ci sia polvere dappertutto nell'aria? Con la guancia ancora appoggiata al cuscino un po' umido del divano, mi sono spostato un po' e ho messo a fuoco il tavolino. Tutto coperto di giornali vecchi e lattine di birra. Si vede che la signora delle pulizie se n'è tornata al suo paese per l'Estate. Avrà un bel da fare a Settembre quando torna. Il posacenere è una piramide di mozziconi. Gli inglesi li chiamano "culi", culi di sigaro. Ho scoperto che quelli di sigaretta sono veramente tossici nell'ambiente, per via del filtro che è di fibra di plastica, sapete? Io fumo solo sigari e inquino di meno, allora. Dovrebbero scriverlo sulle scatole dei sigari: "il fumo uccide, ma non fa così male all'ambiente".
La polvere dall'aria si posa veramente dappertutto. A guardare il tavolino di vetro da quella posizione mi sono reso conto che copre tutto allo stesso modo. Le cose vecchie e le nuove, con grande giustizia.


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Ragioni Etiliche - 6 >>>

16 luglio 2007

piccoli uomini

Si dice che la storia sia fatta dalle biografie dei grandi uomini. I miei libri di storia io li ho venduti appena dopo la maturità. Penso che quelle poche migliaia di lire siano finite in bevute di birra con gli amici.
Così ora non mi ricordo più bene chi fossero Nitti, Orlando o Sonnino. Nomi che trovi scritti nelle piazze e ti ricordano solo di personaggi corpulenti con lo sguardo intenso e folti baffi. Di Garibaldi ammiro sempre la statua sul Gianicolo, ma poco ricordo dell'Uruguay, per dire.
Invece il sapore della birra me lo ricordo sempre e, se mi concentro, ricordo tutte quelle che ho assaggiato. Come pure mi ricordo bene il sapore delle patate novelle che Antonio riportava dal suo orto: piccolo, piegato dalla fatica e dall'artrosi con due manciate di piccoli tuberi sporchi di terra a precederlo.

06 luglio 2007

ambiguità

Cado. Ora mi sembra la conclusione inevitabile. Devo averlo saputo da sempre e me ne rendo conto solo ora che precipito liberamente.
Questa giornata era iniziata solo con l'eccitazione dei preparativi. Il cavo d'acciaio teso e non una nuvola all'orizzonte. Non proprio un'occasione da record, in una città di provincia coi palazzi mai troppo alti, tuttavia la prima volta per me senza rete.
E' quando mi sono trovato a metà che ho avuto chiara l'idea -come un lampo- che di queste imprese in realtà non mi mai ha attirato né la soddisfazione di superare la prova, né l'adrenalina del rischio; non ho niente da dimostrare a nessuno e non una causa a cui dedicare il successo. L'unica vera ragione che mi spinge è proprio quell'ambiguità di essere sospeso fra terra e cielo.
Così ho continuato a pensare mentre mi avvicinavo alla balaustra e a un tratto, elaborata la folgorazione, mi sono fermato. In equilibrio mobile: l'asta fra le braccia a compensare gli sbilanci. Dev'essere stato un tempo piuttosto lungo; me ne sono reso conto guardando le persone di sotto assiepate dietro le transenne. Li vedevo urlare senza sentirli veramente. E il resto dello staff sul tetto del palazzo ad aspettarmi che si sbracciavano in gesti arcuati. "Vieni! Forza! Ancora qualche passo!" Istintivamente devo aver fatto qualche passo indietro, invece.
Non volevo arrivare. L'impresa più emozionante della mia vita sarebbe finita e mi sarei ritrovato solo stasera come tutte le sere a bere birra e guardare vecchi film in bianco e nero.
Ineluttabile, come la fine in tutte le cose umane, s'è alzato il vento a risolvere l'ambiguità. Cado.

03 luglio 2007

i pilastri dell'emozione

Lei mi dice come prima cosa: "mettiti in mutande", il che mi sembra un tantino bizzarro per una sublussazione alla spalla, però obbedisco. Poi comincia a visitarmi dalla testa ai piedi, controllare gli allineamenti dello scheletro, i muscoli e gli organi interni. In piedi, cammina, sdraiato. Tira e molla, gira e torci, palpa e pressa.
"Non è solo la spalla, è tutta questa linea qui che non va" e mi traccia un asse che va dalla testa dell'omero alla testa del femore opposto. "Il fegato è bello grosso; niente di patologico, ma non è che bevi troppo?" Poi ad un tratto, mi ficca le dita dietro la schiena proprio dove finiscono le costole. Stoico, sì, ma che male! Lo confesso: a sinistra mi fa un male cane. Mi chiede con nonchalance: "Sei sposato? Fidanzato?" Io devo aver fatto una faccia strana, come per le mutande. Che c'entra lo stato civile con il mal di schiena? "Sono i pilastri del diaframma" mi spiega "qui si accumulano le tensioni legate all'emotività e tu ce li hai proprio bloccati!"
Ok, tutto chiaro ora.

25 giugno 2007

senza senso (apparentemente)

L'altro giorno m'è capitato di buttare l'occhio su una targhetta nuova nel corridoio dove è il mio ufficio. E' un corridoio lungo di tutte porte uguali rivestite in lamina finto legno. Difficile che faccia attenzione alle targhette: sono sempre le stesse e io sto sempre immerso nei pensieri miei. Anzi capita a volte che entro nell'ufficio prima o in quello dopo del mio tanto sono distratto. Eppure questo l'avevo notato, il nome di una collega che conosco da un sacco di anni anche se non siamo mai andati oltre il saluto o una chiacchierata nel corridoio. Però era un po' che non la vedevo, era stata trasferita, ed ho pensato: "to', è di nuovo qui!"
M'hanno detto che ieri è morta di cancro. Le targhette non significano veramente nulla.