23 febbraio 2007

la paura del silenzio

Un corso di formazione sulla comunicazione. Accetto: di questi tempi mi pare che riesca a comunicare peggio del solito (che è già poco), non mi può fare male.

Simpatici i consulenti, hanno organizzato il corso proprio bene. Si parla di tipi comunicativi e di regia. Non è che in tre giorni ci si illuda di imparare a capire l'Uomo e a comunicare in maniera efficace tutto (e nemmeno a dirigere o recitare col metodo Stanislavsij), però che si accenda qualche lampadina a noi che siamo almeno motivati, questo sì.

"L'ascolto è la forma superiore di comunicazione". E questa la sapevo. L'assunto principale di ogni corso che si rispetti. Ad uno, uomo, logico e determinista come me, con una tendenza a controllare e prevaricare, è un consiglio che -benché ripetuto in tutte le salse- fa sempre comodo. Grazie.

Poi, l'insegnante si sofferma su un aspetto particolare. Era prevedibile, è una donna. "Il silenzio", dice "è parte fondamentale del dialogo." Questo sì, mi fa pensare.

Non ho mai avuto paura del silenzio, come del buio, e spesso sono io che mi ritiro nei miei spazi privati per conquistarmi il silenzio. Mi piace stare da solo a volte, per avere meno distrazioni quando penso. Se devo pensare cose importanti, posso anche scegliere di stare in silenzio per ore, per giorni. Ma è un silenzio mio e nel silenzio io continuo a macinare i miei pensieri. Il mio silenzio, poi, è solo un intervallo, non dico niente nel mio silenzio io. Altra cosa è dover affrontare il silenzio di un altro. Interpretare le cose non dette. Che forse rimarranno non dette. E se non verranno mai dette si perderanno tutte le informazioni che portavano. E l'analisi non potrà essere completa. La sintesi sarà imprecisa. Le conclusioni errate. Sbagliare! E' l'incubo del risolutore di problemi; del logico ad oltranza che deve avere la sua mappa del mondo sempre a disposizione. Come una paura primordiale, un horror vacui. E se il silenzio fosse soltanto vuoto? Del silenzio non si riesce a interpretare nemmeno la sintassi. Di cosa stanno parlando? Figuriamoci a usarlo nei dialoghi!

Poi rifletto. Sono mesi che i silenzi, dei silenzi importanti, mi mettono alla prova. Cerco di staccarmi dall'ansia di capire. O, meglio, dall'ansia di interpretare. Non ci riesco. Parlo, mi agito, sono concitato. Parlo ancora e parlo addosso. Parlo sopra.
Poi taccio e mi rimetto ad ascoltare i silenzi con un po' più d'attenzione. Ho ancora tanto da imparare. Ci vorrà pazienza e non solo da parte mia.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

ot: @ :)

la reine

derbeer ha detto...

Quando ero piccola il silenzio un po' mi spaventava, specie se veniva inaspettatamente rotto dalla voce di qualcuno.
Poi ho imparato ad apprezzarlo, a volte anche a desideralo insistentemente, specie quando mi alzavo la mattina presto e non avrei voluto avere nessuno intorno.
Il silenzio può essere una buona cosa se hai bisogno di riflettere.