Ragioni Etiliche 4
La madre di Lisa non poteva proprio sopportarmi. Mi ricordo come fosse oggi il primo giorno che mi ha portato a casa dai suoi. È strano, se ci penso, che mi ricordo proprio di lei, tra tutte le cose che dovrei ricordare. Il padre, il notaio, per esempio, non lo ricordo più. Non mi ricordo come era fatto. Quel giorno stava al tavolo con la testa abbassata sul piatto e non parlava. Lisa invece parlava con tutti e rideva. Si girava a guardarmi ogni tanto e poi continuava a parlare. I suoi capelli neri, lunghi e lisci si muovevano come le onde. Sua madre mi squadrava con quella faccia da cagnaccio, non mi toglieva gli occhi di dosso. Sarà stato perché quel giorno avevo una cicatrice ancora fresca sull’occhio ed ero divorziato. O perché allora avevo la barba da due anni di imbarco e dimostravo più degli anni che avevo, troppi di più di Lisa comunque. Nemmeno i fiori erano serviti a niente. Nemmeno una camicia stirata e la cravatta. E nemmeno i cioccolatini, che continuavo a portare ogni volta che mi trovavo in città fra un servizio e l’altro.
Lisa lo sapeva e se ne fregava. Scuoteva la testa e diceva che non era importante. Così diceva e continuava sorridermi, a prendermi in giro, a dirmi che ero un animale e la mamma aveva ragione.
Quando decidemmo di andare a vivere insieme fu la rivoluzione a casa sua. Perfino il padre si mise a strillare. Lisa che guardava lui e guardava lei, i capelli che le andavano di qua e di là. Io stavo fermo come un sedano e guardavo Lisa dritta in piedi con quelle braccia sottili, i pugni stretti e quella faccia ostinata che sapeva fare.
Ci trasferimmo in quell’appartamentino dietro la Sapienza che non c’era spazio neanche per respirare. Lei studiava tutto il pomeriggio e io fumavo e guardavo la televisione.
Sono stato bene con lei per quanto è durato. Anche se a ripensarci venticinque anni dopo la madre aveva ragione. Non eravamo accoppiati bene per niente. A lei non piaceva venire in birreria con me e con i miei amici e non le piaceva sentire i discorsi da ubriachi sulle navi e sui viaggi e su tutte le cose che interessavano a me. Lei si voleva laureare presto e io non capivo un’acca dei suoi libri e non mi piacevano i suoi amici studenti coi capelli lunghi e le facce da cantanti rock che frequentava. E a lei non piacevano i miei, perché avevano la divisa e puzzavano di fumo e di birra. Io ci sarei stato seriamente con lei per –magari- ricominciare da capo, ma non poteva funzionare.
Fui rimbarcato a Febbraio e tornai tre mesi dopo che lei già s’era sistemata bene le cose con uno degli assistenti lì dell’università. Tornai a casa e non feci in tempo a buttare il sacco sul letto che già l’avevo capito da come mi guardava. Giusto il tempo di pranzare insieme l’ultima volta con quelle schifezze vegetariane di miglio e altre porcherie che le piaceva preparare e se n’era andata. Mi sono trattenuto e sì che mi veniva di prenderla a sberle. Per tutte le cazzate che m’aveva detto; perché a nessuno piace essere un cornuto. Le avrei fatto male e poi mi sarei pentito. Mi sono pentito comunque perché alla fine è toccato a me pagare l’affitto e scolarmi da solo tutte le bottiglie in casa per cercare di capire.
Capitoli precedenti: 3, 2, 1
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5 commenti:
Primo caso di marinaio non cornificante che mi capiti di ascoltare ...
Mi sembra che ci siano modi peggiori di questo per lasciarsi...
Ecate
Eh, quando non navigano, anche i marinai sanno essere costanti se c'è il vento giusto!
Pimpra
Ma vale quanto detto sopra, per un marinaio è già una cosa strana essere fedeli. Essere poi addirittura traditi può risultare dilaniante! (Ma non troppo, certo)
per fortuna che hai scritto e vinto (lo dico lo dico!) scrivere l'essenziale!
Ma ti si legge volentieri anche in versione long playing.
la reine
Ah! Mia Regina, sei la prima che mi accusa d'essere prolisso.
Ma rigorosamente sotto le 3000 battute.
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