29 agosto 2006

Ragioni Etiliche - 2

Quella sera, sarà stato un mese fa, m'ero messo -come faccio spesso- ad aspettare il ponentino delle nove e già faceva scuro. Me ne stavo appunto spaparanzato in giardino sulla sdraio a bere e a fumare, quando una cosa nera è scappata fuori dall’orto. Sì, ché io c’ho provato a farci crescere qualcosa in questo pezzettino di orto. La frutta, i pomodori; tanto per passare il tempo. Ma vicino alla circonvallazione c’è così tanto fumo e polvere che non ci può venire niente di buono. Solo i rovi, quelli sì. E proprio dai rovi è spuntato il micio. Un micetto nero e bianco e gli occhi chiari. Piccolissimo, tutto magro e impaurito, eppure (la fame è una brutta cosa) m’è venuto fino davanti ai piedi e io gli ho tirato un pezzetto di grasso della fettina che era rimasto nel piatto. Insomma, da allora abbiamo fatto amicizia. Tutte le sere alla stessa ora, ‘sto cosettino di pelo si presentava davanti al tavolo e piano piano ha cominciato a giocare con le pantofole, e poi –come fanno i gatti- mi ha cominciato a venire in braccio. Senza fretta. Io sono stato al gioco, mentre finivo la mia bottiglia e le mie sigarette. Non era male come cosa. La sera è il momento più triste, specie adesso che fa notte sempre prima. Quando ti vengono i pensieri e ci serve il vino e qualcos’altro per decidersi e andare a coricarsi. Ormai sono vecchio e c’ho fatto l’abitudine a stare da solo, conosco i trucchi. Ma col micetto, passavo quell’oretta giusta, per andarmene a letto più contento.
Poi dall’altro giorno, niente più. L’aspettavo col pezzetto di ciccia sul piatto, alla solita ora e un po’ di latte per terra al solito posto. Non è venuto. Si sa coi gatti come succede. Oggi qui, domani chissà. Senza padrone. Sono rimasto ad aspettarlo fino a tardi. E la mattina dopo, il latte era ancora tutto nel piattino. Così pure il giorno dopo. Se n'è andato. Confesso che ci sono rimasto male. E' un paio di giorni che ci penso.
Mi sta bene, così imparo ad affezionarmi. Eppure credevo di averci fatto il callo. Come con le donne, che sono andate e sono venute. E ora non me ne frega più nulla. Gli amici poi, quelli sono andati e basta. Chissenefrega pure di loro.
Mi sta bene. Me ne fumo un’altra e poi vado a dormire che è ora.
Come faceva quella canzone? “Quello che non ho è quel che non mi manca.”
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Ragioni Etiliche - 1

20 agosto 2006

[Zen Retreat]

Essenzialmente qui.

12 agosto 2006

Ragioni Etiliche

Stamattina sono stato al supermercato perchè ho deciso di andare al mare. Che si può fare d'altro di Ferragosto a Roma? Prenderò il trenino per il Lido, come quando facevo da piccolo, con l'ombrellone, le sdraio e i fagotti con il pranzo. Però senza tutto questo adesso. Adesso viaggio leggero.
Mi sono detto, qui serve una lozione solare. Io non capisco niente di queste cose, ma sono andato al supermercato per comprare qualcosa del genere. Quando ero imbarcato, prima che mi buttassero fuori anche dalla Marina, ero sempre abbronzato e non mi preoccupavo del sole. Ma adesso a forza di stare chiuso dentro casa, sono diventato verde come un asparago e credo mi scotterei subito. Ma non si può mica stare tutto il giorno chiusi a cercare solo di avere a portata di mano un bicchiere con qualcosa di alcolico freddo. Infatti sono le 11 di mattina e sono già rincoglionito.
Insomma, sono al supermercato e mi guardo intorno. Trovo dove sono tutti i prodotti di bellezza. Le creme, queste cose qui. Io odio le creme. Sono peloso e odio le creme. Anche quando c'è qualcuno che ti massaggia e te le spalma sulla schiena. E' bello sul momento, se le mani sono delicate. Non mi piace poi essere tutto unto coi peli appiccicati. Eppoi la crema solare con quell'odore, blah, non lo sopporto!
Allora -dicevo- cercavo un qualcosa che si spruzza, uno spray come si dice. Ecco. Mi sono messo a cercare e ci sono le boccettine con lo spray, ma tutte con la protezione bassa, 2 o 8, al massimo 15. Non ho capito bene che significa, ma io voglio la 30. Con lo spruzzo.
Ce n'era solo una per bambini. Colorata. Ho capito che dopo il 15, non esiste più la protezione con lo spruzzo. Solo per bambini la 30, colorata. E l'ho voluta vedere. Era blu.
Mi sono immaginato io che mi spruzzavo sulla testa pelata la crema solare blu. No, proprio no. Non si può. Comunque era sempre crema, schifosa.
Non ho comprato niente alla fine. Ma sono ripassato dove stanno tutti i trucchi per le donne. I rossetti, quella roba lì. E c'era uno specchio lungo e stretto. Ho la faccia piena di rughe, come una maschera. Come quelle maschere che ho portato quella volta che sono stato in Corea. Ho tirato anche fuori la lingua e me la sono vista tutta bianca. Ho anche il fiato che puzza. Allora ho pensato mi ci vuole uno sciacquo e ho guardato dove sono tutti i dentifrici e il resto. Ma questa è un'altra storia.

[rev.1 - 12/08/06]

09 luglio 2006

The Next One



Prima, mentre eravamo seduti per terra a mangiare le nostre razioni in quella che sarebbe la cena, mi guardavo attorno. Guardavo gli altri. Stiamo perdendo un uomo al giorno. Pensavo a chi sarebbe stato il prossimo. Jack lo spilungone silenzioso del Nebraska. John, il marconista, con la faccia da ragazzo per bene. Milton, il nero, con l'M-60 e il pacchetto di sigarette sempre pronto. Chi sarebbe andato a "comprare la fattoria 6-per-3", come si dice qui*.
Dopo aver raschiato bene le nostre scatolette, ci siamo messi a riposare prima di ripartire appena notte. Il fango di questa giungla di merda, alla fine, ti diventa pure comodo.
Mi sono svegliato di botto che ancora provavo a tirare su George, il caporale con gli occhiali, il più anziano fra noi. Nell'incubo, stava andando giù da uno strapiombo e mi allungava la mano. "Aiutami", diceva e io non ce la facevo a tenerlo col peso dello zaino e tutto. Scivolavamo nel fango.
Col cuore che mi batteva forte in gola, zuppo di sudore, ho morso forte il telo mimetico per non farmi sentire. Non mi abituerò mai, cazzo, a quest'idea. Stanotte toccherà a lui. Il prossimo.

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(*) "buy the six-by-three farm", essere ucciso nel gergo dei veterani del Vietnam
Photo courtesy of About.com
Altre fonti di riferimento: "The Vietnam War" e "OV-1.com"

06 luglio 2006

Stazioni



Seduto su una panca, guardo i piedi indaffarati, avanti e indietro sulla banchina. Il tempo e il vento hanno lasciato una patina rossa di ruggine sul travertino dei pilastri.
L'odore asfissiante dell'olio e lo stridio del metallo sul metallo turbano i miei sensi. Mi ricordano che sono vivo.
Il clamore, il fischio e lo sbattere dei portelli. Poi il silenzio, solo un istante prima che tutto si ripeta ancora.
Si arriva, si parte. Ci si prende, ci si lascia.
Un abbraccio nel commiato, un altro nel benvenuto. Non c'è fine.
Con le mani giunte, ficcate tra i ginocchi, io sto qui e mi guardo i piedi.

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immagine tratta dal sito Viterbo in cartolina

29 giugno 2006

Trucchi

Con Mauro i primi tre anni erano filati via leggeri e veloci come quando si aspettano dal tempo solo altre cose belle. Quando lui era tornato da tre mesi di trasferta in Brasile con un’altra moglie e una richiesta di separazione, Lucia era rimasta come un sasso ad inghiottire le lacrime senza capire veramente. Finché, dopo i litigi, i piatti rotti, la giudiziale e le valige alla porta, la casa era rimasta vuota. Come in una spirale sempre più stretta.

La sopportazione e il disprezzo erano arrivati dopo, ma dentro il cuore non s’era mai abituata all’idea di essere sola di nuovo, una divorziata. Le amiche vecchie e nuove, tutte divorziate anche loro, avevano fatto a gara per coprirla di attenzioni (non scopri quante persone stanno come te finché non ti ci trovi dentro): affetto e consigli pratici, per sopravvivere. Insomma quei gioielli di buonsenso che solo un’amica ti può regalare senza essere banale. “Prendi il lenzuolo” le aveva detto un giorno una di loro “e vedi quant’è comodo stare da sole nel letto matrimoniale. Invece di cambiarlo subito, io che dormo da un lato solo, lo giro al contrario e, via, ecco il lenzuolo pulito come appena lavato!”

Strano come ti dimentichi le cose e poi, quando meno te l’aspetti, quelle saltano fuori. Mesi dopo, una mattina, stava cambiando le lenzuola come sempre, precisa e svelta, senza pensare. Poi, come in un lampo di nostalgia, la mano che si ferma e accarezza il lato che era di lui lo trova ancora fresco e stirato. Il naso che si abbassa ad annusare: come appena uscito dalla lavatrice. Mentre rifaceva il letto con le stesse lenzuola rivoltate, guardò bene ora il suo di lato. Perfetto. E quella le sembrò veramente una gran bella trovata.

(rev. 29/06/06)

23 giugno 2006

Lack of Moral Fibre [2]

(riscrittura, 22/06/06 - revisione, 24/06/06)

Doveva essere così. Per troppo tempo io e te avevamo brindato e festeggiato all'ultima missione. Questa sì è la più difficile! Non torneremo da questa! Per scaramanzia, contro la sfortuna. E invece, da questa base, nove assurde missioni notturne.
Quella notte il fuoco della contraerea era fitto, sì, i crucchi ci stavano aspettando! La notte era troppo limpida, rotta solo dalle nuvole di fumo della contraerea.
Ad un tratto le esplosioni s’erano fatte incredilmente fitte e, quando il finestrino è andato in pezzi per una troppo vicina, ho sentito a pelle che qualcosa non andava. M’ero girato di scatto per vedere come stavi; c'era un rivolo di sangue che ti scendeva da sotto la cuffia sulla tempia, ma t’eri girato anche tu sorridendo e m'avevi fatto segno che andava tutto bene, come sempre. Col pollice alzato. Poi uno dei motori che perdeva pressione dell’olio (il colpo era stato veramente vicino) e tu sempre più pallido che ti abbandonavi sulla console. Non so, ne avevo viste già di scene come quella, di carlinghe strappate dai proiettili e di corpi sanguinanti a volte irriconoscibili dei commilitoni. Fosse stato un altro non mi sarei stupito, il sangue e la sofferenza erano cose di tutti i giorni. Ma tu no, io ti conoscevo bene. Dalla scuola di volo e poi sui Lancaster, sempre insieme nella stessa squadriglia e nello stesso aereo. Inseparabili. Non avrei mai dato l’ordine di cambiare rotta e rientrare. L'aereo poteva volare. Avrei continuato, avrei finito la missione e poi, con calma, sarei tornato alla base. Gli ordini erano quelli. Con i flak che ci esplodevano a pochi metri dal muso e illuminavano la scena ho avuto paura, lo confesso. T’ho visto così, svenuto sul sedile con quella smorfia del labbro un po' piegato sempre a sminuire le cose e il navigatore che provava a tamponare la ferita. Una stretta alla bocca dello stomaco. E non c’ho pensato più di tanto; quattro parole ringhiate nell’interfono e il bestione che lentamente s’inclinava alla virata.Gli altri dell’equipaggio non fiatavano. Sentivo il loro sguardo su di te. E su di me.
Così abortimmo la missione. Così non sganciammo le bombe. Nessun’altro morì quella notte. I motori a manetta, per recuperare minuti preziosi. Arrivare in tempo. Ce la potevamo fare. Tu eri forte. Non t’avrei fatto morire come un cane in quella scatola di latta.

S'era fatto giorno ormai e la pista si vedeva lontana sotto la nebbia che si stava alzando. Ora che il rombo dei motori era più cupo ho sentito che tossivi. Con la coda dell'occhio ti vedevo bene ora, il volto bianco come la cera. Il carrello tocca terra, gli ultimi controlli. Siamo a casa! Ce la facciamo! Ad occhi chiusi e il sangue che bagnava nero il colletto di pelliccia, t’ho preso in braccio. Urlavo agli altri d’aiutarmi. Mani e braccia che ti portavano giù per il portello, fin sulla pista. Io che gridavo e t'abbracciavo. Urlavo e ti scuotevo per il giubbotto. Urlavo e ti picchiavo. Il volto. Il petto. Le mie mani sporche di sangue. Non poteva essere. Non potevi andartene. Non tu. Non ora. Non l'ultima missione. Che avrei fatto io senza di te? No. No.
Come in un sogno, sapevo che tutti ci guardavano. Anche il comandante della base, m'hanno poi detto. Ci hanno separato a forza. M'hanno portato via che urlavo ancora, sì, non so in quanti mi tenevano, mentre tu, steso sulla pista con gli occhi chiusi e la testa piegata non ti muovevi più.

Tra poco andrò via da qui. Lascio questi muri bianchi immacolati. La sacca è già pronta. L'uniforme stirata con tutte le mostrine è qui sul letto e la camicia manda un buon odore di pulito. La commissione m'ha visitato. Mi dicono non ci sarà corte marziale in considerazione dello stato di servizio esemplare, ma un comandate di squadriglia della RAF, la migliore aviazione del mondo, non abbandona una missione, se non per codardia.
Sarò trasferito, questo è ovvio. Per me ora un posto vale l'altro. Quella era l’ultima missione. So già cosa scriveranno sulla scheda. So già cosa sono per tutti. Ed è così che mi sento anch'io. Tu non ci sei più, amico mio, e io sono un LMF.

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N.d.A. (vedi commenti)